Heretic, la recensione: un horror psicologico tra fede e follia

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Heretic, la recensione: un horror psicologico tra fede e follia

È arrivato nelle sale cinematografiche l’atteso film di Scott Beck, un horror psicologico dalle atmosfere malsane e con un Hugh Grant machiavellico e inquietante. Ecco quali sono le nostre impressioni post visione.

La trama

Hugh Grant, Chloe East e Sophie Thatcher in Heretic

Sorella Barnes (Sophie Thatcher) e sorella Paxton (Chloe East) sono due giovani missionarie mormoni che, come ultima tappa giornaliera in cerca di nuovi fedeli, bussano alla porta del signor Reed (Hugh Grant) il quale, viste le condizioni meteo avverse, le invita ad accomodarsi all’interno per gustare una fetta di torta e scambiare qualche parola. Nonostante la cordialità seppur sui generis di Reed, questa sfocia in un confronto dialogico tra i tre, ma Barnes inizia a percepire che c’è qualcosa di sinistro in quella casa e, forse, l’uomo che hanno di fronte non è tanto amichevole come sembrerebbe.

L’orrore si mostra con le parole

Sophie Thatcher e Chloe East in Heretic

Diversamente da tanta produzione Heretic ha una peculiarità in più rispetto al resto della concorrenza. Fin dal primo frame l’horror di Scott Beck vive di dialoghi: che siano quelli tra le due protagoniste, Barnes e Paxton, oppure il lungo dialogo che di lì a poco prende le mosse tra le due ragazze mormoni e il luciferino Reed, l’intero film vive e si nutre di parole e, con queste, evoca l’orrore ancor prima di mostrarlo graficamente in immagini.

Infatti, se l’incipit è il più classico del genere con una situazione alquanto tranquilla, è solo dopo aver bussato alla porta di una casa solo all’apparenza normale e averne varcato la soglia che, in maniera lenta e serpentina, il terrore inizia a farsi strada mediante la comunicazione verbale. Lo scambio di opinioni, le domande poste da Reed e le risposte date dalle due ragazze inesorabilmente trasformano l’incontro in una trappola mortale, quasi a dare fuoco alle polveri di un perverso e studiato gioco in cui fede, religione, abnegazione e delirio prendono le mosse.

Se inizialmente Heretic mostra una certa lentezza nella narratività, concentrandosi su questo incontro/scontro conversazionale posto al centro del trio di protagonisti, è proprio da tale lentezza che iniziano a venir mostrati tutta una serie di dettagli e indizi atti a svelare tanto le intenzioni del padrone di casa quanto della struttura domestica costruita come luogo inaccessibile una volta che la porta d’ingresso principale è stata chiusa alle spalle.

 

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Ambienti claustrofobici e vie di fuga inaccessibili

Hugh Grant in Heretic

In questo, il lavoro di Scott Beck mette in scena una scenografia di interni davvero eccezionale: la casa di Reed è stata pensata e costruita come una trappola in cui attirare le vittime designate, sottoporle a un inevitabile confronto su teoria e dialogo e, così, permettere di fare le proprie scelte, ovvero se rimanere e cambiare idea su fede, credo e dintorni oppure, più semplicemente, imboccare la via d’uscita.

La casa/trappola, punto nevralgico di tutto il film, vive di chiaroscuri, di luci soffuse e giallastre, di un’atmosfera claustrofobica che sembra palesarsi nei fotogrammi che compongono il lungometraggio: stantia, umida, irrespirabile, pervasa da un odore di “morte” che proviene da qualche parte non ben precisata. La sensazione trasmessa allo spettatore è quella di essere finiti in uno di quei posti da incubo e malsani, che trasudano lo sporco di azioni scellerate commesse e che hanno impregnato pareti e stanze, quasi a voler asfissiare con il loro stesso tanfo chi ha la sfortuna di entrarci e cerca una via di fuga, seppur inaccessibile.

La tensione in Heretic viene alimentata dall’insolita geometria delle stanze come quella in cui si accomodano Paxton e Barnes, ma anche dai bui corridi in cui soprammobili dalle forme indistinte o mezzi busti in marmo sembrano avere una luce diabolica negli occhi, nonostante la loro immobilità, senza dimenticare lo studio/chiesa di Reed da cui si accede allo scantinato, luogo-emblema di scene legate a tanto immaginario orrorifico nonché a quello del torture porn nonostante le torture siano qui psicologiche invece che fisiche.

 

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Deliri e incubi a occhi aperti

Sophie Thatcher in Heretic

Heretic è dunque un insieme di deliri e incubi a occhi aperti, che mette alla berlina non solo l’estremismo di qualsivoglia fede religiosa ma anche l’ossessiva ricerca delle risposte a quesiti ben più grandi dell’uomo stesso. Il Reed interpretato con intensa verve da Hugh Grant non è solo la trasmutazione in carne e ossa della follia legata al già citato estremismo poiché, parimenti, nel suo aspetto da uomo americano di mezza età appartenente alla middle class diventa “satira” asciutta e per nulla comica e ironica degli Stati Uniti stessi, melting pot di culture ed etnie in cui, purtroppo, ancora oggi si consumano delitti e crimini legati a differenti estremismi derivanti da quello stesso incontro di “mondi” che formano la Nazione.

Nell’inquietante e sadico disegno di Reed, infatti, è impossibile non percepire quel senso di suprematismo verso il prossimo, che si palesa non solo con la dialettica e la conoscenza, ma anche e soprattutto nelle scellerate azioni fisiche che alimentano il gore, seppur in scala ridotta, in Heretic e che diventano, per la legge del contrappasso, la stessa punizione, l’obolo da pagare per un uomo che si è auto nominato giudice, giuria e giustiziere dell’altro da sé.

Senza sbavature alcune e impreziosito sia dalle interpretazioni attoriali sia da un impianto scenotecnico atto a fomentare ancor di più un certa inquietudine e senso di fastidio durante la visione, Heretic è un validissimo horror psicologico che sfrutta pienamente gli incisivi ambienti chiusi per mettere su una storia dell’orrore non invasa da mostri di fantasia bensì da quelli reali che, a volte, si celano dietro il viso di una persona comune.

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