Iliade – Il gioco degli dèi: recensione dello spettacolo teatrale di Alessio Boni

Presso il Teatro Metropolitano Astra di San Donà di Piave, abbiamo assistito a Iliade – Il gioco degli dèi, lo spettacolo teatrale di Alessio Boni che rilegge in chiave contemporanea (ma con grande attenzione alla drammaturgia arcaica) il poema attribuito a Omero.
Iliade – Il gioco degli dèi: il valore di un classico
Che si tratti di passi antologici contenuti in un libro scolastico o della discutibile trasposizione cinematografica di Wolfgang Petersen con Brad Pitt, l’Iliade ha sempre fatto parte delle nostre vite. Capolavoro dell’epica antica attribuito a Omero, il poema narra cinquantuno giorni del decimo e ultimo anno di conflitto tra Achei (i Greci) e Troiani sotto le mura di Ilio. In un sontuoso avvicendarsi di duelli tra eroi di ambo gli schieramenti, furiose vendette e interventi divini, dagli esametri emerge in primo luogo l’ossessione dei personaggi per una gloria immortale, su cui spesso pende la spada di Damocle di un fato inevitabile e spesso avverso.
Italo Calvino una volta scrisse che il valore di un classico si misura nella sua capacità di resistere al trascorrere incessante del tempo, di aggiornarsi al contemporaneo, di accrescere la comprensione della nostra umanità nel corso dei secoli. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che questa meditazione omerica sull’eroismo si sia reincarnata e arricchita di riflessioni in tragedie euripidee (Le Troiane), storiografie latine (la Farsalia di Lucano), epiche cavalleresche di Ariosto (l’Orlando furioso) e più recenti best-seller (La canzone di Achille di Madeleine Miller). Di ciò ne hanno sicuramente tenuto conto anche Alessio Boni e i suoi tre collaboratori Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, che con L’Iliade, il gioco degli dèi firmano un’affascinante e post-moderna riscrittura teatrale dei versi omerici.
Tra commedia pura e pathos della tragedia

Ambientato tra le aride spiagge di Troia (su cui incombe una nera eclissi evocatrice di scenari apocalittici, à la Kentarō Miura), lo spettacolo interseca due piani narrativi che vanno a comporre il mosaico corale: i battibecchi tra divinità capricciose e volubili (agghindate in abiti moderni per sottolinearne l’immortalità); le vicende belliche del poema, dall’“ira funesta” del Pelide Achille per la schiava Briseide sottrattagli con arroganza dal Re Agamennone ai funerali del principe troiano Ettore. Se il primo livello è animato da tocchi goliardici che a più riprese strizzano l’occhio alla commedia pura – permettendo all’ensamble di eccellere nel ritratto edonista di dèi dimessi che giocano con i destini degli uomini – la controparte terrena prende vita come un teatro di marionette, impregnato di sofferenza, rabbia, pathos della tragedia.
Oltre al ritmo serrato della drammaturgia, va ammirato il lavoro di sintesi e selezione episodica del vasto repertorio omerico che non perde mai di coesione e, anzi, incapsula tutta l’essenza poetica dell’Iliade. I duelli cardine si ammantano dei miasmi della mortalità, a ogni atto di tracotanza (il concetto di hybris) corrisponde una punizione divina (nemesis) di pari o superiore violenza, il libero arbitrio si sovrappone a un disegno imperscrutabile (abbiamo già citato Berserk?). Come avviene con i kolossal storici di Ridley Scott, anche lo spettacolo curato da Alessio Boni si può leggere in chiave contemporanea, con accostamenti neanche troppo allusivi al decadentismo oligarchico nell’era del post-Covid.
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A completare un quadro di gran qualità, il ricorso al choròs e l’uso creativo di macchine sceniche e props che restituiscono tutto il minimalismo del teatro greco di tradizione arcaica. Fanno da contrappunto luci e ombre di grande suggestione, supportate da sonorità ambient, telluriche e memori della musica d’epoca di Francesco Forni.

Libraio, consumatore seriale di lungometraggi con una passione famelica per tutto ciò che arriva dall’Estremo Oriente, feticista dei libri editi da Taschen. Ogni tanto scrivo cortometraggi.