The Shrouds, la recensione del nuovo film di David Cronenberg

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The Shrouds cover

The Shrouds segna un canzonatorio ritorno registico di David Cronenberg, prestandosi a stimolanti chiavi di lettura autobiografiche e come sempre critiche della malsana fusione tra corpo e tecnologia.

Uno dei film peggio accolti dalla stampa presente a Cannes 2024, The Shrouds di David Cronenberg ha l’aria di un sunto poetico. Già dai primi acerbissimi film come Stereo si poteva intuire l’interesse del regista canadese per l’asse carne-psicologia, la sperimentazione su soggetti umani, e la mutazione genetica (spesso trasmessa sessualmente). Con The Brood – La covata malefica, Cronenberg passava definitivamente dai circuiti underground alla serie B hollywoodiana, sfruttando budget più sostanziosi e cast di prima fascia per alzare l’asticella nella rappresentazione del bodyhorror e sondare, così, la disgregazione familiare e la frustrazione materna. Poi sono arrivati i capolavori come Videodrome, Crash ed eXistenz a mettere definitivamente a punto un’estetica rosso sangue, interessata a delineare il futuro delle relazioni umane, in cui il piacere sessuale viene plasmato dalla deturpazione corporea e dalla fusione con la tecnologia.

Da A History of Violence del 2005, che segna l’inizio di un proficuo sodalizio con l’attore danese Viggo Mortensen, David Cronenberg rivela un approccio più introspettivo, chirurgico nella decostruzione di un sogno americano inquinato da violenza repressa e proliferazione delle armi. The Shrouds, che vede il regista provare a esorcizzare il dolore per la perdita precoce della moglie, avvenuta nel 2017, chiude un’ideale trilogia iniziata con Maps to the Stars e Crimes of the Future, di rottura, dissacrante.

La trama

Una scena da The Shrouds

Il cinquantenne Karsh (Vincent Cassel), facoltoso imprenditore della GraveTech, gestisce un cimitero dotato di una tecnologia avveniristica in grado di monitorare la decomposizione dei corpi. Questo business serve all’uomo, in realtà, per elaborare il lutto della moglie Becca (Diane Kruger), morta prematuramente di cancro. Una notte, il cimitero viene profanato da degli hacker non meglio precisati, e il fatto aprirà le porte alla possibilità di una complessa cospirazione globale. Karsh coinvolge l’amico informatico Maury (Guy Pearce) per rintracciare i colpevoli e nel frattempo si avvicina progressivamente alla non vedente franco-coreana Soo-min Zabo (Sandrine Holt) e a Terry, sorella gemella di Becca, con cui inevitabilmente instaurerà relazioni sul labile confine della suggestione necrofila.

Scavare nella cospirazione e nella decomposizione

Giocando con un concept macabro e sottilmente voyeurista, le riflessioni su amore, morte e paranoie (vere o presunte? Cronenberg non dà risposte facili) in un mondo multipolare vengono sviscerate con un black humour tendente al grottesco, del tipo di cui è capace solo un autore intenzionato a deridere la propria disperazione e la propria arte. Un’autoironia manifesta, accentuata dalla presenza di Vincent Cassel nelle altrettanto evidenti vesti di alter ego cronenberghiano: regista e attore condividono piumaggio brizzolato, volto austero, fisicità asciutta e arguzia dialettica. Entrambi si confrontano con i surrogati dell’amata perduta, che riversano nei propri sogni e nella materia filmica.

Oltre all’autoironia di fondo, di Maps to the Stars e Crimes of the Future viene riproposto il minimalismo formale, qui aderente alle linee di interni di design nipponico. L’idea, preventiva da Crimes of the Future, della digestione della plastica evolve in digitalizzazione pura della carne, contaminandosi alla sempre più invasiva presenza dell’intelligenza artificiale e all’estetizzazione “erotica” delle deformità.

Vincent Cassel e Guy Pearce

Con The Shrouds Cronenberg si tuffa nella possibilità che i personaggi provino eccitazione sessuale per le teorie del complotto (scenario non più esattamente distopico, vista l’odierna diffusione di cospirazioni sui social), divertendosi a infittire la sceneggiatura di depistaggi e continue allusioni a congiure, il cui incessante accumulo accentua il commento sardonico del film. Essere assorbiti dall’ossessiva ricerca del reale nella post-verità, nell’era delle informazioni manipolate, offre lo spiraglio per l’attrazione di anime affini e al contempo costituisce l’orrore collettivo a cui l’uomo moderno è condannato prima della dipartita. In tal senso il finale, apertissimo e spiazzante, porta con sé il retrogusto insoluto dell’ennesima, lucidissima provocazione intellettuale di un genio, conscio di quanto i bei tempi siano ormai andati, canzonatorio verso lo stesso pubblico che di Cronenberg ha spesso lambito solo la superficie, ma dotato di uno sguardo inguaribilmente romantico.

1 thought on “The Shrouds, la recensione del nuovo film di David Cronenberg

  1. David Cronenberg è stato ed è un regista avanti sui tempi. E finalmente è tornato in sala. Bella analisi. Complimenti!

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