Blade Runner, la recensione del capolavoro di Ridley Scott

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Blade Runner, il capolavoro di Ridley Scott che ha contribuito a plasmare le distopie cyberpunk al cinema, torna sul grande schermo grazie a Lucky Red per un evento speciale il 14, 15 e 16 aprile. 

In più di quarant’anni dalla sua uscita, Blade Runner ha fatto la storia del cinema e non solo. Che si tratti di altri film dal look cyberpunk, anime giapponesi, spot pubblicitari, linee di moda o videogiochi, si perde il conto dei prodotti d’intrattenimento confrontatisi con questo classico. Come spesso accade con i grandi capolavori, anche il processo produttivo di Blade Runner venne funestato da traversie che hanno rischiato di comprometterne il risultato finale. Il carattere notoriamente risoluto ed esigente del regista Ridley Scott è stato motivo per ripetuti alterchi con la troupe e il cast, il budget venne sforato conseguendo licenziamenti in tronco, il protagonista Harrison Ford ricorda tuttora il clima delle riprese come estremamente teso. Eppure ciò non ha impedito al lavoro finito di figurare tra le opere fantascientifiche più avvincenti di sempre. Un unicum.

I film di Ridley Scott hanno la fama di stratificarsi a ogni nuova visione (spesso divenendo oggetto di rivalutazione dopo iniziali, tiepide accoglienze). In tal senso il caso di Blade Runner rimane emblematico. Basato sul romanzo di Philip K. Dick Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e uscito in sala un anno dopo 1997: Fuga da New York (qui la nostra recensione) di John Carpenter, il film testimonia il talento visivo del regista di South Shields nel raccontare storie e temi universali – il significato della vita, la ricerca del proprio creatore, la devastazione ecologica – attraverso un worldbuilding di grande spessore artistico.

Harrison Ford Blade Runner

La quintessenza del cyberpunk

Il futuro immaginato da Ridley Scott e dallo sceneggiatore Hampton Fancher propone un’atmosfera lugubre, divenuta standard (ai limiti del manierismo) di tutta la fantascienza anni Ottanta ai quattro angoli del pianeta. Il film è ambientato nella Los Angeles nel 2019, l’evoluzione robotica si è spinta all’ingegnerizzazione di copie artificiali degli esseri umani, i replicanti, con un ciclo vitale limitato a quattro anni, dotati di ricordi artificiali innestati, destinati a servire i creatori per i lavori più pericolosi nelle colonie extra-mondo. L’ex cacciatore di androidi Rick Deckard (Harrison Ford) viene convinto a tornare in servizio per ritirare quattro replicanti ammutinatisi, e lo scenario entro cui si muove la caccia è tanto moderno e decadente da risultare deumanizzante, persino barbarico.

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La pioggia eterna e la cappa di fumo che avvolge gli esterni urbani e gli interni fatiscenti danno perfettamente l’idea di un mondo sopraffatto dai cambiamenti climatici. Gli scenografi Lawrence Paull e David Snyder, coadiuvati dall’artista Syd Mead, lavorarono su un multiculturalismo architettonico che tradisce l’influenza delle megalopoli asiatiche, piene d’insegne pubblicitarie al neon, oltre a progettare le ormai riconoscibili macchine volanti spinner e i numerosi gadget ipertecnologici impiegati da Deckard. Lo stesso Scott – che pochi anni più tardi avrebbe catturato l’alienante bellezza di Osaka in Black Rain – Pioggia sporca – si è occupato di molti concept design del film, attingendo dalle suggestioni fumettistiche di Moebius.

Rutger Hauer Blade Runner

Un pionieristico noir fantascientifico

Gran parte della riuscita del film si deve ovviamente alla commistione tra fantascienza e hard boiled classico. I cliché narrativi del detective sdrucito à la Chandler (con tanto di trench) e della femme fatale vengono rispettati, ma il look dei costumi propone un mix di moda anni Quaranta – abiti affusolati e gonne a tubino tipici di Gilbert Adrian – intuizioni punkeggianti e influssi nipponici. Il tutto arricchito dalla colonna sonora del polistrumentista greco Vangelis, giocata sui mille toni del jazz, della musica orchestrale e di archetipi techno.

La storia dei numerosi rimontaggi di Blade Runner è complessa tanto quanto quella della sua turbolenta produzione. La versione per il mercato cinematografico, accolta con reazioni contrastanti e al centro di uno scottante flop commerciale, presenta una voce narrante noir – a cui Scott e Ford si sono sempre opposti – e un lieto finale con sequenze prese da Shining decisamente fuori luogo. Rispettivamente nel 1992 e nel 2007, quando ormai Blade Runner era riconosciuto da tutti come un classico di fantascienza (per chi scrive, superiore persino a 2001: Odissea nello Spazio) sono state rilasciate la director’s cut e la final cut, che con scene inedite reintegrate, il voice over rimosso e nuovi effetti speciali digitalizzati, rappresentano le incarnazioni più vicine al film inizialmente pensato da Scott. Ancora oggi i cinefili si interrogano su quale di queste abbia colto al meglio la filosofia di Blade Runner: la realtà è che, in qualunque veste lo si voglia vedere, il film rimane un capolavoro.

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