Mickey 17, la recensione del nuovo film di Bong Joon-ho

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Mickey 17 cover

Mickey 17 segna il ritorno di Bong Joon-ho alla fantascienza ad alto budget, che gioca con un vasto campionario di temi affrontati con l’approccio grottesco della satira.

La carriera registica del sudcoreano Bong Joon-ho vanta numerosi successi, tra cui dolenti spaccati sociali (Madre), gialli intricati (Memorie di un assassino) e bizzarri monster movie (The Host). Nel 2019 arriva la consacrazione, con quattro Premi Oscar (tra cui Miglior Film e Miglior Regia) assegnati al bellissimo Parasite  in un’annata che lo vide concorrere insieme ad altrettante pellicole di livello come C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino e The Irishman di Martin Scorsese.

Sei anni più tardi, Bong torna dietro la macchina da presa con un adattamento del romanzo Mickey7 di Edward Ashton, nuova incursione nella fantascienza pura e (soprattutto) nelle produzioni hollywoodiane dopo i discussi exploit di Snowpiercer e Okjia. Mickey 17 è l’ennesima bella opera del regista, coadiuvato dai budget faraonici di Warner Bros Pictures e della Plan B di Brad Pitt per dar vita a una distopia grottesca e dai vaghi echi verhoeveniani.

La trama

In un futuro non meglio precisato, il protagonista della storia è il goffo Mickey Barnes (Robert Pattinson), imbarcatosi in una missione d’esplorazione spaziale per sfuggire alle grinfie degli strozzini. Il viaggio, organizzato dal tecnocrate Kenneth Marshall (Mark Ruffalo) e dalla consorte Ylfa (Toni Colette), è volto alla colonizzazione del gelido pianeta Niflheim, popolato da una colonia di alieni “striscianti”. Come altri membri meno abbienti della società, Mickey si presta al ruolo di “sacrificabile”, una sorta di operaio usa e getta per le mansioni più pericolose, costretto ogni volta a morire e a essere ristampato in serie, grazie a una sofisticata stampante in 3D.

Tra satira e grande spettacolo

Mickey 17

Frutto di un turbolento lavoro di post-produzione che ne ha tardato l’uscita in sala, il film offre la schietta fotografia di un’autocrazia capitalista contrapposta alla struttura gerarchica di creature aliene memori di Starship Troopers. Bong affronta una materia fantascientifica tutto sommato classica con approccio grottesco e persino slapstick (le continue morti di Mickey), che trova la propria sintesi nella recitazione farsesca di Mark Ruffalo (neanche troppo velata caricatura di Donald Trump). Persino nel secondo atto, orientato allo spettacolo su vasta scala rispetto alla prima più introspettiva parte, non perde l’interesse per la denuncia delle disuguaglianze sociali (con annesso sfruttamento degli “ultimi”), l’analisi dei dualismi, il significato della morte all’interno delle multinazionali e il ruolo sempre più in primo piano del femminile nelle logiche di potere.

L’impianto generale trae inoltre linfa vitale da una regia d’elaborata fluidità (prevalenti le carrellate). Ai gelidi esterni di Niflheim, la cui vastità viene esaltata da magnetiche riprese aeree, Bong affianca gli interni asettici, simmetrici, claustrofobici delle astronavi. Eccelsa pure la fotografia di Darius Khondij, dominata da una affascinante palette cromatica fredda e in tono con le ambientazioni. L’adorabile interpretazione di Robert Pattinson, che nelle sue spaesate, frammentate e continue reiterazioni, è il valore aggiunto dell’operazione. Non a caso, nel bel mezzo di una parodia dell’odierna società replicante e spersonalizzata, spiccano la tenera storia d’amore tra Mickey e la compagnia di viaggio Nasha, o il rapporto tra il protagonista e il suo diciottesimo clone, rispettivamente emanazioni di un ego fragile e dell’Es più aggressivo.

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